Chiedersi che cos’è l’uomo è diventato difficile in un’epoca come la nostra, caratterizzata da una visione scientista del mondo. La scienza moderna si è, infatti, proposta di considerare ogni realtà naturale semplicemente come oggetto per poter così sottomettere ogni cosa al potere dell’uomo. Ma dopo aver tolto alla natura ogni somiglianza con l’umano, lo scientismo pretende di dire all’uomo che anche lui non è altro che una parte di quella stessa natura: «Così parlare di sé come di un uomo finisce per apparire all’uomo stesso come una caduta nell’antropomorfismo».
In questa situazione Robert Spaemann vuole tornare a porre la domanda sull’uomo rifiutando il riduzionismo scientista ma senza accontentarsi neppure di un’antropologia filosofica che ne ignori semplicemente la sfida. La chiave di un’antropologia adeguata sta per Spaemann in un’idea di natura che ne colga il carattere teleologico e in un’idea di ragione che non dimentichi il rapporto che c’è tra questa e la natura. Sono queste le idee sviluppate nei quattro saggi che costituiscono il presente volume. Dopo aver riflettuto nel primo saggio sul modo in cui la nozione di natura umana può sfuggire al sempre risorgente dualismo di “natura” e “spirito”, l’autore nel secondo saggio rivolge la sua attenzione alla teoria dell’evoluzione. Confrontarsi con questo tema appare infatti necessario per un’antropologia che accetta il dialogo con la scienza. Spaemann si chiede che cosa la teoria dell’evoluzione sia in grado di spiegare e in che senso l’evoluzionismo sia incompatibile con l’immagine che noi ci facciamo di noi stessi. Soltanto alla luce di una concezione adeguata della natura umana diventa comprensibile la nozione di dignità dell’uomo di cui tratta il terzo saggio. L’ultimo saggio affronta il rapporto di natura e ragione, mostrando come la nozione di natura sia ambigua: ciò che è “conforme alla natura” non è ciò che è “allo stato naturale”. Ciò che caratterizza l’uomo come essere ragionevole è però proprio la capacità di riconoscere l’altro nella sua realtà aprendosi a lui nell’amore.
Nell’insieme, il volume costituisce una stimolante introduzione alle questioni fondamentali di un’antropologia filosofica che scopre di non poter fare a meno di incontrarsi con l’etica e con la metafisica.
Robert Spaemann , nato a Berlino nel 1927, è professore emerito di Filosofia della Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Dopo gli studi di filosofia, storia e teologia nelle università di Münster, Monaco di Baviera e Friburgo (Svizzera), ha conseguito l’abilitazione in Filosofia e Pedagogia e ha poi insegnato a Stoccarda e a Heidelberg. È stato invitato come professore nelle università di Rio de Janeiro, Salisburgo e Parigi-Sorbona. È membro della Pontificia Accademia per la Vita e membro onorario dell’Accademia cinese delle Scienze sociali. Tra i suoi libri tradotti in italiano: Concetti morali fondamentali, 1993; Felicità e benevolenza, 1998; Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, 2005; Fini naturali. Storia e riscoperta del pensiero teologico, 2013.